martedì 8 dicembre 2015

Osservatorio Eco-Faunistico Aprica (2° parte): Il paradiso che non ti aspetti.

Dopo aver postato le foto ieri (qui foto osservatorio), ed avervi già anticipato la mia visita all'osservatorio, ci tengo a raccontarvi un po' di più su questo posto che si è rivelato tanto stupefacente quanto inaspettato. Prima della descrizione vera e propria ci tengo però a parlarvi della trafila che precede la visita. Non essendo una struttura alla portata di tutti la visita si svolge esclusivamente su prenotazione che nel mio caso è avvenuta direttamente al centro informazioni di Aprica. So però che online su siti dedicati è possibile prenotarsi diversamente. Il biglietto ha un costo di 13€, ed include anche la salita in seggiovia dal piazzale Palabione ovvero il punto di ritrovo. Naturalmente qui la mia storia subisce delle piccole ma rilevanti deviazioni rispetto alla normale tabella di marcia. Vi ricordate la mia influenza? Ecco, proprio lei, mi ha impedito per una serie di mirabolanti situazioni (in primis raccolta di farmaci, inalatori ma soprattutto fazzoletti) di essere puntuale nel piazzale alle 8.45. Così seppur in ritardo di 5  minuti ho perso quello che pensavo essere l'unico "treno" a mia disposizione per visitare l'Osservatorio. Iniziavo  già a pensare che l'influenza tentava di pareggiare i conti che fino a quel momento mi vedevano in vantaggio, ma in cuor mio sapevo che potevo e dovevo organizzarmi meglio quella mattina. Fortunatamente non tutto sembra perduto: nel piazzale non sono l'unico ritardatario e presto si crea un piccolo gruppo di ansiosi (quasi) visitatori intenti a trovare quanto prima una soluzione. Soluzione che arriva quasi subito e ci vede frettolosamente salire in massa sulla seggiovia direzione osservatorio. Una volta arrivati quasi in cima l'aria si fa pungente e il freddo timido del "centro città" lascia il posto a quello intenso e penetrante dell'alta montagna. Pensavo fosse un'idea comune vederla così, ma appena si aprono completamente le porte della seggiovia scorgo alla mia sinistra una mano protesa nei miei confronti. Subito noto l'assenza dei guanti (che io ritenevo indispensabili), ma a stupirmi ulteriormente è l'abbigliamento, del ragazzo sorridente che si presenta come una delle nostre guide : pantaloni che oserei definire quasi normali e una maglia di pile. Mi piace pensare che la vista può trarre in inganno ed immaginare le altre due o tre maglie sotto quella principale, altrimenti non riuscirei a spiegarmi tanta disinvoltura e tranquillità a questa temperatura. Oltrepassato lo stupore iniziale dovuto al paesaggio con neve solo in prossimità delle piste e il resto completamente all'asciutto, ci incamminiamo verso il primo step dell'osservatorio, su una stradina che alterna tratti di terriccio alla neve ghiacciata. Dopo qualche minuto scorgo nelle vicinanze una rete di delimitazione e qualche metro più avanti una recinzione piuttosto robusta. Devo essere sincero, inizialmente ho avuto qualche emozione contrastante, stiamo comunque parlando di animali in cattività quindi per chi ama e rispetta gli animali e la natura in generale i primi pensieri in circostanze simili non sono mai del tutto sereni e piacevoli, ma neanche il tempo di trarre le mie conclusioni che puntuale arriva la spiegazione del dott. Bernardo Pedroni. Questa parte dell'Osservatorio infatti è quella dedicata all'orso bruno, che ha a sua disposizione molti ettari per muoversi liberamente o quasi. Tanto per essere chiari, il suo territorio comprende un laghetto e zone boschive con diverse inclinazioni. Apprendiamo inoltre che anche stambecchi e caprioli godono di uno spazio particolarmente grande, circa 1 volta e mezza più dell'orso. Se non erro l'Osservatorio si estende per circa 20 ettari, che sembrerebbero più che sufficienti per accogliere al meglio questi animali, ma voglio prima vederli di persona per esserne convinto. Anzi, dopo aver appreso di che dimensioni stiamo parlando, mi viene anche il dubbio che in questo tripudio di verde, con molta probabilità potrei rimanere a bocca asciutta e non vedere proprio nulla, cosa che mi dispiacerebbe parecchio non solo emotivamente ma anche fisicamente considerando il peso dello zainetto, stracolmo di ogni cosa (utile e inutile), che grava sulle mie spalle. E dispiacerebbe non poco anche alla mia macchina fotografia, sempre pronta ad immortalare qualcosa di interessante. Finora oltre al paesaggio, non ho fotografato niente degno di nota e la cosa non mi piace affatto. Comunque con l'ombra dei primi dubbi continuo la discesa lungo il sentiero: inutile dire che lo scenario circostante è comunque molto piacevole, nonché rilassante, ma proprio questo relax temporaneo potrebbe distogliere l'attenzione dalle insidie che neve e ghiaccio mi riservano lungo il cammino. E, proprio mentre mi stavo abituando al trekking leggero, la guida attira la mia attenzione e quella degli altri visitatori indicandoci una sorta di terrazza dalla quale è visibile l'orso proprio sotto di noi. Ora, non so voi, ma io un orso bruno di 2 o 300 chili, nel suo habitat naturale, con tanto di ruscello e laghetto , non penso di averlo visto altre volte. Sono emozionato e curioso allo stesso tempo, voglio subito avvicinarmi e vedere il bestione. E' splendido, sembra anche in ottima forma, e complice una stagione non particolarmente fredda, è ancora piuttosto sveglio e vigile al punto di prendere al volo una delle 100 mele (si avete letto bene , 100!!) che mangia quotidianamente. Gesto atletico che però non gli vale nessun premio, anzi, il poverino , tale è stata la voracità si è anche ingozzato. La mela gli è decisamente andata di traverso, ma fortunatamente dopo qualche suono gutturale poco incoraggiante sembra stare meglio e riprende a mangiare le altre mele nei dintorni senza troppa fatica. Il suo nome è Orfeo anche se originariamente ci chiamava Ciko, ed è l'acronimo di Osservatorio eco faunistico Orobie anche se momentaneamente ignoro il significato della R. Dopo aver rubato qualche scatto ad Orfeo e aver imparato qualche nuova informazione su di lui che non sto a spiattellarvi qui, proseguiamo verso l'area riservata ai rapaci notturni e diurni. Premetto che la mia scarsa puntualità "stagionale " mi impedisce di godere appieno di questa parte dell'Osservatorio in quanto molti dei rapaci sono stati trasferiti altrove, e li riporteranno in questo sito solo in primavera-estate. Ciò nonostante, i pochi presenti sono comunque di rappresentanza, soprattutto il gufo che seppur notevolmente più piccolo dell'orso non scherzava affatto in quanto a dimensioni. Anche stavolta le spiegazioni sono state impeccabili, le foto un po' meno (i rapaci sono naturalmente legati) ma mi accontenterò. Abbandonati i rapaci l'Osservatorio ci offre  una terrazza dalla vista spettacolare , quasi a strapiombo, che oltre a mostrarci Aprica dall'alto, ci da la possibilità di osservare nella sua completezza il territorio. Le descrizioni, gli aggettivi, e qualsiasi altra cosa sarebbero banali e renderebbero poca giustizia a ciò che sto vedendo. Non posso che rimandarvi nuovamente alle foto, ma anche quelle trasmettono solo una piccola parte di ciò che si prova qui. Non posso che invitarvi a venire qui personalmente. Poi , complice magari una bella giornata non potete non gradire tutto quello che vi circonda. Difficile proseguire, ma la visita è ancora lunga e ricca di sorprese. Con passo veloce ma attento ci dirigiamo verso quella che ai miei occhi sembra una piccola baita di legno con un cancello alla sua destra e recinzioni tutte intorno. Inizia il percorso all'interno dell'Osservatorio stesso, laddove il rapporto uomo, natura, animale assume dei delineamenti non molto precisi ma dal risvolto sicuramente piacevole. Non mi aspetto di vedere animali a perdita d'occhio fin dall'entrata eppure complice qualche cereale gli stambecchi non si fanno pregare e arrivano numerosi. L'atmosfera che si respira mi riporta alle favole ascoltate più di un decennio fa quando prima di cadere in un sonno profondo mi lasciavo cullare dalle parole delicate e piene di dolcezza pronunciate dai miei due narratori improvvisati preferiti, i miei genitori. Forse le emozioni che provo sono spropositate ma a pochi metri da me, senza nessuna barriera artificiale, una famiglia numerosa di stambecchi si avvicina con estrema naturalezza. Vorrei allungare la mano e accarezzarli ma potrei rompere l'incantesimo in quanto tollerano la presenza umana ma non il contatto fisico.  Il capo famiglia è naturalmente l'esemplare più grande, le sue corna in un primo momento affascinano e attirano l'attenzione di tutti i presenti, ma riflettendoci bene trasmettono un grande senso di maestosità e rispetto. Differentemente da altri animali, il capo famiglia concede agli esemplari maschi più giovani di vivere nel branco, quindi non di rado si avvistano altri esemplari di dimensioni notevoli. La sensazione di vivere in un mondo fiabesco si intensifica quando a pochi passi dall'entrata facendo una piccola svolta a sinistra, s'incontra un laghetto, che sarebbe già sufficientemente affascinante così com'è, ma in questo periodo è parzialmente ghiacciato, e crea dei giochi di luce e dei riflessi molto particolari. Inoltre la zona da cui sgorga l'acqua è ghiacciata in modo irregolare e quindi in alcuni punti si vede scorrere dentro al ghiaccio circostante, in altri esternamente. Insomma un posto davvero suggestivo. Continuando lungo un sentiero , la distanza dalla civiltà sembra aumentare passo dopo passo. Il terriccio battuto lascia spazio ad un tappeto di aghi di larice che riempie il paesaggio circostante, senza guida sarebbe difficile orientarsi, eppure la natura trasmette qui come in pochi altri posti la sensazione di essere perfettamente al posto giusto. La pace, la tranquillità ed il silenzio sono difficilmente riscontrabili altrove, potrei persino giurare di sentire il rumore degli aghi di larice che cadono sul terreno producendo una sinfonia che contribuisce ad intensificare le sensazioni precedenti. E' un suono difficile da descrivere, ma avete presente il suono che la neve produce quando si deposita al suolo? I due suoni sono molto simili,  ma lo scenario incredibilmente diverso. Il "rumore" del silenzio è così imponente che si sentono in lontananza i movimenti degli animali, il loro correre veloci attraverso la fitta vegetazione. In questo paradiso dei sensi solo una cosa potrebbe produrre una nota stonata tra mille sinfonie perfette: la mia influenza. Ed infatti di li a poco parte una raffica di starnuti che inesorabilmente s'infrange nel sottobosco autunnale, accompagnata dal mio sonoro soffiarmi il naso. E' un modo durissimo ma altrettanto efficace di tornare alla realtà, devo abbassare momentaneamente il livello dell'entusiasmo, ed alzare quello di farmaci e pasticche. Nonostante tutto non voglio concedere nessun pareggio all'influenza e continuo imperterrito le mie attività. Il freddo man mano che si cammina passa in secondo piano per un po' gli stambecchi ci fanno compagnia, poi preferiscono non uscire dai loro confini e dopo un po' ci ritroviamo soli. L'osservatorio ospita anche picchi, volpi e cince ma forse il freddo, forse l'orario o qualche altra centinaia di fattori ci impediscono di avvistarli. Nessuno però di questi fattori può impedirci di scorgere ,dopo pochi metri, delle piccole corna fare capolino dietro un tronco di larice. Non so di cosa si tratta, ad essere sincero non sono un esperto di specie animali e quindi molti potrei facilmente confonderli anche vedendoli interamente, figuriamoci poi se questi sono semi nascosti con solo le corna in vista. Ci avviciniamo lentamente cercando di fare meno rumore possibile: gli aghi morbidi semplificano la nostra impresa, non oso immaginare ad un occhio distante quanto possono sembrare buffe 10 persone in "modalità stealth" mentre si avvicinano ad un albero. Fatto sta che in pochi secondi che sembrano un'eternità percorriamo pochissimi metri, ma fortunatamente a toglierci dall'imbarazzo ci pensa proprio il nostro nuovo avvistamento, che incuriosito si avvicina seppur con aria circospetta. Le guide ci suggeriscono di rimanere in silenzio per poterlo vedere da vicino. Si tratta di un esemplare femmina di camoscio, uno dei più veloci corridori del bosco: agile, leggero, e tonico, un mix perfetto di eleganza e velocità. Vederlo in movimento magari mentre scende un lieve crinale a tutta
velocità è una delle fortune della visita di oggi: infatti non appena ci avviciniamo ad una mangiatoia al termine del percorso, le guide le riempiono di fieno, e in men che non si dica ci raggiungono 5 o 6 esemplari. Alcuni sono decisamente piccoli, anche se hanno già tra i 2 e i 3 anni. Non esistono infatti esemplari più giovani in quanto l'unico esemplare maschio è deceduto da 1 anno, e di conseguenza addio nuove nascite. La cosa potrebbe inizialmente sembrare triste, ma per i camosci di sesso femminile è estremamente salutare nonché motivo di maggiore socialità con altri esemplari. Infatti non dovendo allattare ne prendersi cura dei piccoli trascorrono l'inverno con molta più tranquillità. La guida , nonché gestore ci spiega che non prenderà un nuovo maschio privandolo della libertà, ma che volentieri ne accoglierà uno malato o ferito e quindi non reintegrabile in natura. Lo trovo molto onesto e ammirevole. Sono attraversato da mille pensieri, affascinato da questo mondo che mi era completamente sconosciuto. Mentre scatto le ultime foto ripenso alle indecisioni del giorno prima e basta poco per convincermi che ho fatto un'ottima scelta. I camosci sono davanti a me, posano per le mie foto come se qualcuno li avesse addestrati a farlo, ogni tanto si spaventano ma tornano rapidamente in posizione. Metto a fuoco, scatto, e cosi per almeno 5 minuti. So che l'opportunità è unica e non voglio lasciarmela sfuggire. Mi piace pensare che a loro piaccia essere immortalati ma so bene che se non fossi dietro la mangiatoia probabilmente ne vedrei uno solo con il binocolo. Ultima foto, adesso bisogna andare. La guida ci indica l'uscita, e ci chiede di gridare "ciao " tutti insieme. Classico conto alla rovescia e  CIAO.. I camosci scappano a gran velocità risalendo il crinale che poco prima avevano disceso in pochi secondi. La vista non coglie più nulla, l'udito pochi dettagli lontani e sommessi. Il bosco ora è meno speciale, meno magico ma so bene quale spettacolo può riservare ai suoi ammiratori. Vado via con un carico di emozioni che pesa più dello zaino, ma trasmette leggerezza e tranquillità. Vado via promettendo a me stesso di ritornare in estate per rimmergermi in questo oceano di meraviglie. Consiglio a tutti questa esperienza, bambini, ragazzi, adulti , insomma chiunque può farlo. Inoltre il dott. Bernardo e Lorenzo sono un valore aggiunto all'Osservatorio in quanto disponibili, preparatissimi ma soprattutto veri appassionati e amanti di ciò che fanno. A loro va un grande applauso, e tanti grazie. Questo osservatorio deve essere un esempio per qualsiasi struttura che ospita animali, rispetto, cura e assenza di atteggiamenti stereotipati azzerano le perplessità anche del più critico. Qui gli animali stanno davvero bene.  Mi sento di darvi un consiglio: in questo periodo (dicembre) indumenti invernali decisamente pesanti, guanti cappello e soprattutto scarpe adatte. Il percorso non è molto complicato ma come detto in precedenza , ha qualche insidia. Consiglio scarpe da trekking piuttosto alte ma essendone io per primo sprovvisto ho indossato degli stivaletti non particolarmente rigidi ma comodi e con un bel carrarmato ma in alternativa delle comode scarpe da ginnastica comunque alte penso vadano bene. Chiusi i cancelli dell'Osservatorio mi aspetta il ritorno alla civiltà , ma non prima di aver disceso la montagna , precedentemente percorsa in seggiovia , ora rigorosamente a piedi. Beh questa parte preferisco risparmiarvela. Ci rivediamo a valle. Ciao a tutti :)ps: se avete qualche domanda, curiosità o altro , potete scrivermi in privato o nei commenti e sarò felice di rispondere.. Vi lascio con le foto dalla terrazza e di Orfeo che "ingoia" la mela..

Aggiornamento : ho postato il video su YouTube, potete vederlo qui,  ciao ciao ..




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